
Questo testo è stato pubblicato su LinkedIn la prima volta nel maggio 2020. E’ quindi figlio del periodo particolare che tutti stavamo vivendo. Tuttavia lo ripubblico qui e adesso, come memoria e archivio, come occasione per guardare in filigrana alcuni dei fatti culturali odierni. Buona (ri)lettura.
Chiudevo l’ultimo post con una domanda “Per disegnare il futuro quali nuove pratiche culturali attiveremo?” e apro questo nuovo post con una dichiarazione: all’avvio della fase 2 in Italia, non si puo’ che continuare con molta prudenza e con insistenza a studiare e a moltiplicare i punti di vista per farsi ancora domande.
Prendo a prestito un pezzo di Sanjoy Roy, Editor dello Springback Magazine, sia per aprire sia per chiudere queste lunghe note, parziali, non esaustive, e che seguono una serie di nodi critici, tra loro collegati non in modo lineare, ma in una mappa ancora da esplorare e in parte da ridisegnare.
A virus in the system can provoke markedly different outcomes. A recovery. A collapse. Or a change in the system itself. What will the future bring, both within the field of dance and in the wider world?
We do not know. But I think we do know, collectively, that if it is just a return to normal, something is wrong. There is hope in that.
Back to normal?
Appare evidente che la pandemia anche nel medio termine avrà un impatto sui settori della cultura, del turismo, e sulla formazione tradizionale, e in generale su tutte le aree che comportano aggregazione di persone: è difficile dire adesso che tipo di impatto, se una cosiddetta sospensione, per tornare a una cosiddetta normalità, o se una trasformazione di un ecosistema (sociale, economico, di relazioni), da rimettere in discussione.

Foto instagram @misantropocene
Se la fase 1 ha (avuto) dei confini tutto sommato più chiari, quelli di casa propria, la fase 2 inizia a portare all’attenzione la prima riappropriazione del mondo esterno alla propria casa, e a interrogarci sul nuovo abitare e attraversare gli spazi pubblici e comuni. Alcuni studi e ricerche, infatti, mostrano come l’attuale crisi imporrà nel breve e medio periodo mutamenti rilevanti degli stili di vita e consumi, e quindi del nostro modo di fruire di spazi e di attività culturali e sociali.
Previsioni a 6 a 12 a 18 mesi (si veda la mappa mentale e il report, Low touch economy, Board of Innovation, aprile 2020), identificano come nodi critici principali la prossimità, il movimento, l’aggregazione, con evidenti conseguenze su tutto il settore performance ed eventi dal vivo, e il cambio dell’uso di spazi come teatri, sale o arene da concerto, cinema, piazze e via dicendo. Gli effetti del coronavirus sul turismo, inoltre, sono evidenti e incidono immediatamente sulla possibilità di spostarsi, per questo si immagina che quest’anno prevarranno le località minori, le vacanze rurali e locali, a breve distanza, ma non è ancora chiaro quali servizi nell’ambito ristorazione e ricettività sarà possibile produrre e come fruirne. La navigazione della mappa è molto interessante, e seguendo una mia personale e parziale sintesi, queste sono le tendenze già individuabili e che interessano direttamente o indirettamente anche il settore culturale: trasformazione di una parte delle attività legate al commercio, incremento dell’e-commerce e del delivery; accentuarsi di smart working; aumento di fruizione in digitale di molteplici attività; accentuarsi del digital divide (o delle barriere all’accesso); nuovi equilibri tra vita e lavoro; maggiore uso della casa rispetto a prima, con differenti effetti a seconda della composizione del nucleo familiare e della condizione economica di base; accentuarsi delle diseguaglianze economiche e culturali.
Prime note veloci sulla fase di adattamento degli spazi ibridi

Foto di #cestesospese nel quartiere Dergano e Isola a Milano
La trasformazione del sistema commerciale, aggregativo e distributivo, comprendemolti di quei locali, luoghi di aggregazione e spazi ibridi che nell’ultimo decennio sono stati importanti testimoni dell’innovazione sociale e culturale che si stava costruendo. Cito a titolo d’esempio per la realtà milanese alcuni di quei tanti luoghi che non si riescono a definire con un’unica parola SarpiOtto o Mamusca o Gogol and company o ancora Rob de Matt, casi nel loro piccolo che raccontano di buone pratiche sostenibili nel costruire comunità coese e modelli economico-sociali sostenibili, a volte in quartieri non centrali e capaci di miscelare pubblici diversi (millenial, smart worker precari e/o creativi, vicinato e comunità di quartiere, famiglie, bambini, lettori, abitué della movida, etc).
Oggi stanno in modo resiliente ridefinendo la loro offerta e le loro relazioni, aprendo solo per consegna a domicilio o per asporto, accentuando i propri contenuti e la loro identità, focalizzando su consegna e suggerimento libri, consegna spesa o cibi pronti, o addirittura produzione e distribuzione kit di sostegno per famiglie o persone in difficoltà.
Da Dergano è partito #cestesospese per diffondersi con mappa in tutta la città, proprio grazie alla rete del bar e negozio Mamusca; stesso quartiere Il Rob de Matt aderisce al progetto AiutArci, con una raccolta fondi che sostiene nel produrre pasti da distribuire tramite la Croce Rossa.
Il quadro non è completo, queste poche righe sono solo un’istantanea, senza pretesa di esaustività, e quindi di necessità parziali. È proprio del prossimo periodo ragionare sui nuovi modelli di sostenibilità nell’intraprendere culturale e sociale, proprio osservando come i molti luoghi ad attivazione culturale e a impatto sociale stanno rispondendo alla crisi, trasformando ancora i modi di stare insieme (e a questo proposito è opportuno dare una lettura all’alfabeto pandemico dello stato dei luoghi, rete nazionale di gestori e attivatori di spazi di rigenerazione e di innovazione sociale e culturale).
Produrre e fruire cultura, tra relazioni e nuovi spazi

Foto instagram dell’architetto @Yona Friedman
Se prendiamo come punto di osservazione lo smart working (ma consideriamo pure l’e-learning e tutto l’entertainment che si svolge in ambiente digitale) diventa cruciale capire come sta cambiando o dovrà cambiare il modo di lavorare, far circolare contenuti e di produrre informazione, di fare e vivere le diverse offerte culturali, e inoltre di insegnare e di motivare nell’apprendimento, o di creare intrattenimento, non più legato a una o più funzioni di uno spazio, e per ora soprattutto connotato da un’assenza: a mancare è la dimensione della presenza fisica e in sincrono di gruppi di persone nello stesso spazio fisico (ufficio, scuola, cinema, teatro, arena, piazza, etc).
Sono diversi i punti focali:
come cambiano tutte queste attività alla luce della distanza? Si “spostano” semplicemente in un nuovo ambiente o si trasformano e quindi si ricreano per produrre nuove forme di relazioni e di oggetti/contenuti?
come cambia la percezione dello spazio, qualunque tipo di spazio, a partire dal luogo centrale di questi ultimi due mesi, la casa e dalle relazioni che accadono e prendono vita in essa?
Sul primo punto e per il settore culturale portano argomenti di innovazione in ambito culturale, e museale in particolare, oggi non più trascurabili, tutte le conferenze e i contributi di Jeffrey Schnapp, specialista di Digital Humanities, che spesso è intervenuto, in tempi non sospetti, proprio per delineare il tema della rivoluzione digitale per il settore culturale, in modo corretto. Ci torneremo. Intanto prendiamo in esame, la foto seguente che ritrae l’avatar del rapper Travis Scott all’interno del game Fortnite. E’ presa da un estratto della performance musicale Astronomical avvenuta dentro il game. Si è trattato di un vero e proprio evento virtuale, avvenuto dentro gli ambienti del gioco, questa volta diventati set e palcoscenico per uno spettacolo che ha coinvolto contemporaneamente 12 milioni di giocatori in contemporanea e ha raggiunto più di 27 milioni di visitatori.

Travis Scott su Fortnite, porta un interessante esperimento di musica, gaming, vendita e promozione on line, creazione di merchandising ad hoc, dalla linea di moda in poi, evento di cui hanno parlato diverse testate, da Rollingstone fino a MFfashion.
Proprio da questo concerto parte la riflessione sull’evoluzione della musica e delle performance dal vivo dai grandi numeri, in una delle carrellate di Internazionale La musica dal vivo è intrappolata in un limbo di Giovanni Ansaldo che fa un quadro delle recenti evoluzioni e dello stato di crisi del sistema, stretto da ingenti costi produttivi e impossibilità di aggregare nello stesso spazio i numeri di pubblico necessari a tenere in piedi i costi dell’era pre-covid.
Costi produttivi che non diminuiranno, a fronte dell’impossibilità almeno nel 2020, di riunire masse di persone in arene musicali.
Di fatto occorrerebbe osservare anche l’altro fronte, quello dei piccoli club, vivaci per qualità della produzione e dei musicisti presentati, come per esempio Germi a Milano, che aderendo alla campagna #stayon ha dato possibilità di coniugare
fruizione di mini home-concert di musicisti di qualità e raccolta fondi da destinare agli ospedali occupati nell’attività di cura di malati Covid.
In generale sono state e sono tuttora molteplici le offerte di contenuti culturali d’archivio o originali fruibili via web e streaming
ma tutto il “calendario” di appuntamenti già oggi sembra più che fitto. L’offerta più che sufficiente in termini di quantità, forse chiede di essere analizzata in termini di qualità dell’esperienza e del contenuto.
Su questi punti le riflessioni di Jeffrey Shnapp al Meet the media guru realizzato da Meet l’11 giugno sono ancora adesso attuali, e riguardano le trasformazioni da intraprendere, sia sul fronte ideativo sia sul fronte della sostenibilità, e non semplicemente sulle traslazioni o trasferimenti di materiali d’archivio (che tuttavia è bene avere) on line.
Sembra utile interrogarsi ancora una volta sulle nuove relazioni e innesti tra discipline, tra modalità, tra pubblici ed esperienze. Nuove narrazioni, non semplici divulgazioni, per far vivere continuamente gli spazi virtuali e quelli fisici.
Da quanto detto finora appare vitale per il futuro saper immaginare nuovi spazi, reali e virtuali, che sappiano mettere in evidenza non solo la funzione, ma la dimensione relazionale e affettiva, dell’abitare e render vivi gli spazi.
Gli spazi sono luoghi non asettici e chiedono di essere vissuti con oggetti vivi in relazione dinamica. Una riflessione del filosofo Emanuele Coccia, Reversing the new global Monasticism, incentrata sulla casa ci conduce a individuare nella casa non un semplice costrutto di pareti pavimenti e soffitto, ma un luogo abitato da oggetti e persone, che interagiscono in modo dinamico. Le relazioni che ci permettono di abitare quello spazio sono quelle che generano vita.
Stay at home should from now on just mean: stay where you give life to everything and everything gives life to you.
Seguendo queste parole, possiamo individuare alcune domande per i nuovi spazi del futuro, che non prescindono dagli oggetti/i contenuti vivi, e dalle relazioni tra noi e quegli oggetti/contenuti. Basti pensare a uno spazio museale, che contiene una collezione: che rapporto ho con quei particolari oggetti che sono opere d’arte? E se il museo ha un suo spazio on line, i contenuti che forma vitale avranno? Ancora come sarà andare in un museo quando questi saranno di nuovo aperti in modo da scambiare vita?
L’immagine di Dominic Wilcox ci dice in quale modo creativo possiamo prendere la regola del metro di distanza (o ancora il distanziometro diffuso da Propaganda il 6 marzo 2020).
Più seriamente propone una serie di passi e di regole da seguire per attivare le procedure di accesso ai principali siti museali, il vademecum pubblicato da Confcultura che in estrema sintesi descrive un museo visitato da gruppi ridotti, con procedure e protocolli di sanificazione, attenzione all’informazione e alle chiare comunicazioni di servizio, e con modalità per prenotare e per l’e-ticketing.
Ma che tipo di esperienza sarà? Più ricca, perché l’accesso al contatto con l’opera d’arte diventerà un’esperienza speciale? Più faticosa per via delle procedure da seguire? Quali nuove barriere all’entrata?
Le possibilità di spesa e l’evoluzione dei consumi culturali
Altra parola chiave è disuguaglianza, che affianca tutte le previsioni sulle trasformazioni degli stili di vita, sul bilanciamento tra vita e lavoro, sull’equilibrio di rappresentanza tra i generi nelle diverse attività tra casa e lavoro, e infine sulla possibilità di spesa. Qui segnaliamo tra le varie relazioni pubblicate e in corso, il report sulle ricadute sul comparto culturale in area bolognese, a cura del Dipartimento Cultura e Promozione della Città di Bologna (aggiornamento al 31 marzo 2020), ancora una ricognizione sul sostegno necessario al comparto culturale prodotta da Fondazione Fitzcarraldo (27 marzo), e un interessante questionario lanciato tra gli altri da Agostino Riitano, manager di Matera 2019, volto a esplorare la volontà di fruire di attività e luoghi culturali da parte del pubblico (07_18 aprile, ancora in corso).
Il punto di vista sul pubblico e sulla volontà di accedere a spazi culturali, aperti e chiusi, ad esperienze e attività inerenti l’offerta culturale, dal vivo e on line, gratis e a pagamento, arriva per ultimo solo perché per ultimi saranno riaperti i principali luoghi della cultura, ma è vitale osservare ciò che succede per procedere.
Rivedere il modo di fare cultura
Ciò che appare certo è che saranno da rivedere la catena distributiva, la modalità di fruizione e di produzione, considerando la nuova disponibilità di spesa, i timori, le possibilità o il desiderio di aggregazione dei nuovi pubblici, in parallelo alla crisi di sostenibilità di un intero comparto che impiega professionalità e competenze di alto livello. Inoltre impossibile non considerare la funzione di empowerment e di abilitazione di fasce deboli e marginali di cittadini, che le organizzazioni culturali, come agenti del cambiamento, potranno mettere in gioco. In generale e per tutti la prima vera e piena funzione artistica è di immaginazione, e di prefigurazione del futuro.
Nonostante gli importanti contributi che da più parti si stanno raccogliendo, rimane da ridisegnare un’ampia parte dello scenario, proprio sui temi della sostenibilità e su quelli dell’accesso.
E’ utile accompagnare questa fase di trasformazione necessaria, per la sopravvivenza e la vitalità del comparto culturale e in generale della nostra società, con un incoraggiamento all’ascolto. Un po’ di tempo ancora da impegnare nella riflessione, nell’apprendimento, e soprattutto nella ricerca di nuove domande (seguendo le considerazioni di Sanjoy Roy,in un suo pezzo sul corpo e sull’assenza, temi cruciali per la danza e adesso per tutti noi), su quale impronta vorremo lasciare nel momento del ritorno al palcoscenico e ai nostri ambiti e spazi sociali.
“I wonder, then, about dance. More than any other art, dance depends on our presence. It happens here and now, in this body, at this time, in this place. Physical presence, proximity and assembly are fundamental to its worth. Can we reconcile these values? Perhaps we can combine them. When the time comes to step outside again, will we be able to put the insights of our estrangement into motion, both artistically and practically? The dreamlike time of the present is an opportunity to imagine – and hence start creating – a future.
What might it look like? A cultural infrastructure not built upon cheap flights and overproduction. ‘Human resources’ that emphasise that first word, not the second. Choreography that does not fetishise the self as subject.
Dance that appreciates absence – space, stillness, distance, attention – as much action, interaction and statement.
Do less, be more. Leave a smaller footprint. When we step back onto the stage – of the theatre or of society – let us go slowly and tread softly, with presence of mind as well as body.”