La cultura produce benessere (…)_archivio_aprile2020

In Art we Trust, Ozmo, around Garibaldi a Milano, 2020

Questo testo è stato pubblicato su LinkedIn la prima volta nell’aprile 2020. E’ quindi figlio del periodo particolare che tutti stavamo vivendo. Tuttavia lo ripubblico qui e adesso, come memoria e archivio, come occasione per guardare in filigrana alcuni dei fatti culturali odierni. Buona (ri)lettura.

“La cultura produce benessere ed è un coadiuvante sociale” Ezio Bosso (propaganda live, 10 aprile 2020)

Nel descrivere questo periodo storico, alcuni hanno scelto la metafora della guerra per definire le difficoltà e la tipologia di stress a cui tutti, in modo diverso, sono sottoposti.

Ma non sono poche le voci, soprattutto dal mondo sociale e civile, che invocano l’immagine non solo reale ma anche metaforica della malattia (Papa Francesco, Paolo Giordano, Mauro Malgatti, etc). Malattia reale, non solo dei singoli individui ma di una società intera e globale, delle relazioni stabilite finora tra le parti, nei confronti del pianeta, nei confronti dei più deboli.

Rialzarsi dopo questo periodo di “malattia” non sarà un gioco, e avrà a che fare con dinamiche complesse e interconnesse, sanitarie, economiche, sociali e ultime ma non ultime anche culturali. Dunque al centro delle risoluzioni da intraprendere: la cura.

In molti evocano il potere terapeutico della bellezza (cito tra i primi Radiotre e la giornata del 6 aprile dedicata alla bellezza #prepararsiallabellezza), e il fatto che pensare alla bellezza sia esso stesso un primo atto di cura sociale e di riconnessione dei legami comunitari.

In tanti inoltre evocano il potere dell’arte per ridisegnare, sognare, immaginare il futuro (ricche e interessanti la serie di interviste Breakfast at Kusnacht, dove Carpani, consuellor psicanalitico, intervista colleghi dell’ambito psicanalitico e culturale junghiano o dello scenario sociale e civile: in particolare si segnala l’intervista “Jung Covid e il tempo sospeso” dove si affronta proprio il tema del passaggio in questo tempo sospeso, della rimozione o del vivere il lutto della perdita, alla fase successiva creativa e di rigenerazione grazie all’arte.

Gli scenari distopici a cui ci stiamo tristemente abituando (città fantasma e deserte, contatti fisici ridotti, o annullati, esperienze sociali cancellate, droni a inseguire runner, e tutti gli spazi pubblici, chiese, mercati comunali all’aperto, teatri e musei, palestre, chiusi, in attesa di trovare soluzioni al problema sanitario) chiedono un gigantesco sforzo di immaginazione per ridisegnare il futuro.

“Perché la cultura è importante? (…) è nella cultura che prendono forma e trovano nutrimento le idee del futuro al pari di quelle che riguardano il passato” (A.Appadurai, le aspirazioni nutrono la democrazia, Et al. edizioni).

Aspirare al futuro è una competenza che si sviluppa con l’accesso a condizioni economiche e sociali, che prevedono anche ricchezza di opportunità culturali (non è un caso che i principali report sulla povertà e specificamente sulla povertà infantile, coniughino ai dati legati ai bisogni primari – cibo, casa, etc- e alla frequenza scolastica, anche quelli legati alla dimensione della povertà educativa, ossia del concreto e diversificato accesso ad opportunità diverse). Per questo studiosi come Amarthia Sen mettono al centro libertà e competenze, per l’empowerment e la riduzione delle disuguaglianze, e altri come Arjun Appadurai portano addirittura la dimensione culturale come centrale per poter descrivere le nuove forme del futuro, e il loro sviluppo anche tra le classi più disagiate e marginali.

Per disegnare il futuro quali nuove pratiche culturali attiveremo?

Su questo le prossime settimane, lungo la cosiddetta fase due, toccherà riflettere soprattutto per rigenerare modelli culturali che fino a sei mesi sembravano perfetti e che oggi chiedono di essere riadattati e rinnovati.

Questo testo è stato pubblicato la prima volta nell’aprile 2020. E’ quindi figlio del periodo

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